Sunday, March 18, 2007

Addio, Jean Baudrillard

I filosofi muoiono in modo complicato.
Spesso si decostruiscono. Pochi
hanno studiato bene la questione,
e Jacques Derrida, in un saggio
intitolato “Il filosofo desidera morire?”,
ebbe l’idea di scrivere: “Noi
sperimentiamo solo la morte degli
altri, da cui ricaviamo mimeticamente
e allegoricamente l’idea della nostra
mortalità, proprio come solo dalle
parole degli altri perveniamo all’autocoscienza
(…). Tutta la coscienza
appare allora come Verwindung o,
detto altrimenti, différance, e la presa
di coscienza si rivela strutturalmente
e trascendentalmente come
un autoinganno”. Più che una frase
lucida, sembra una frase lucidata, in
ogni caso non importa, perché probabilmente
il ribobolo derridiano va
inteso allo stesso modo del titolo che
Libération ha scelto per dare la notizia
della morte di Jean Baudrillard,
filosofo e sociologo francese scomparso
il 6 marzo all’età di settantasette
anni: “Jean Baudrillard au-delà
du réel”. Da tutto questo si possono
trarre due indicazioni: la prima è
che essendo andato al di là del reale,
Jean Baudrillard sia effettivamente
morto (in realtà, e lo so che cerco il
ridicolo, io non credo che la morte
esista, perché morire significherebbe
ritornare al nulla, ma ritornare al
nulla è impossibile, visto che il nulla,
in quanto nulla, non esiste; detto
altrimenti: visto che è logicamente
contraddittorio pensare alla creazione
dal nulla, essendo assurdo che
dal nulla possa venire fuori qualche
cosa di diverso dal nulla, il fatto che
esista il mondo presuppone che questo
mondo sia eterno, e laddove c’è
eternità non può esserci la morte); la
seconda indicazione che ci viene dal
titolo di Libération è che la filosofia
di Baudrillard abbia a che fare con il
reale e con il suo superamento. Ed è
questo, forse, il centro del discorso.
Ma è meglio arrivarci con calma.
Non è infatti pensando alla morte, a
Caronte traghettatore, allo psicopompo,
che vorrei ambientare la discussione
che riguarda Baudrillard su una nave
ormeggiata al porto di Pola, verso la fine
dell’Ottocento. Lo faccio per un altro
motivo, perché a bordo di questa nave, il
panfilo Pelikan, l’imperatrice d’Austria
Sissi pronunciò una frase fondamentale
che è al centro del discorso su Baudrillard.
Racconta Constantin Christomanos,
l’insegnante di greco dell’imperatrice:
“Il Miramare ha fatto scalo a Pola
perché l’Imperatrice aveva intenzione
di visitare il panfilo Pelikan, sul quale
sono in corso lavori di ammodernamento.
La nave l’aspettava tutta imbandierata.
Vi si è diretta con la sua dama di corte
su una scialuppa del Miramare. Le è
andata incontro un’altra scialuppa, con
ammiragli e diversi dignitari del porto.
Dai deserti dello spirito in cui dimorava,
l’Imperatrice è rientrata nell’atmosfera
imposta dal suo rango. Ma anche lì ha
portato l’indescrivibile grazia e nobiltà
della sua natura. Tutti i presenti – lo si
leggeva in volto a ciascuno – erano abbagliati,
ma non ne capivano il vero motivo
e credevano di dover attribuire le loro
impressioni all’augusta dignità della visitatrice”.
Impressioni sbagliate, come
giustamente fa notare Christomanos,
perché in Sissi si agitava altro: stava registrando
un’epoca, la stava riassumendo
tutta in se stessa, per esempio in
quella fotografia storica in cui, tanto per
rappresentare l’idea della scomparsa
della realtà, si era fatta ritrarre a cavallo
con il ventaglio che ne copriva perfettamente
il volto (scrive Guido Ceronetti:
“Elisabetta Wittelsbach, imperatrice
d’Austria, soffriva di fobia dello sguardo.
Il suo assassino gli piantò in cuore un
punteruolo senza guardarla. I medici,
fosse morta tra i pizzi e sotto baldacchini,
l’avrebbero fatta molto più soffrire,
guardandola in faccia”).
Sissi avvertiva la presenza soffocante
del nichilismo, l’idea cioè che i valori
supremi si fossero svalutati, che mancasse
il fine, mancasse la risposta al perché,
che la realtà, una volta per tutte,
fosse svaporata e fosse ormai diventata
un fantasma. Questo, e soltanto questo,
spiega il suo contegno, il deserto dello
spirito in cui dimorava. Infatti, durante
la visita al Pelikan, Sissi confessò a Christomanos:
“Gli uomini credono di dominare
la natura e gli elementi grazie alle
loro navi e ai loro treni espresso. Ma
è vero il contrario – ormai la natura ha
assoggettato gli uomini. Un tempo ci si
sentiva simili a Dio pur abitando in una
conca desolata da cui non si usciva mai.
Ora siamo sempre in moto, perenni globetrotter,
come gocce del mare, e alla fine
ci accorgeremo che non siamo più altro
che questo”.
Quest’immagine del moto perpetuo,
delle gocce del mare, questo fatto che
l’uomo, e tutto ciò che lo riguarda, è diventato
spruzzo, si ritrova quasi identico
in un passo che Jean Baudrillard pubblicò,
nel tentativo di descrivere il collasso
nichilistico della modernità, in
uno dei suoi libri più importanti, “La
trasparenza del male. Saggio sui fenomeni
estremi” (Sugarco editore): “E’ altrettanto
impossibile calcolare in termini
di bello e di brutto, di vero o di falso,
di bene o di male, che calcolare nello
stesso tempo la velocità e la posizione di
una particella. Il bene non si colloca più
sulla verticale del male, nulla si dispone
più in ascisse e ordinate. Ogni particella
segue il proprio movimento, ogni valore,
o frammento di valore, brilla un
istante nel cielo della simulazione, poi
scompare nel vuoto seguendo una linea
spezzata, che solo eccezionalmente incontra
quella degli altri. E’ lo stesso
schema del frattale, ed è lo schema attuale
della nostra cultura”. Si tratta di
un punto di arrivo. Ma per Baudrillard
anche di un punto di partenza. Partenza
certo complicata, visto che in quello che
lui chiama “schema frattale”, almeno
per come lo descrive, è impossibile trovare
un inizio e una fine, un ordine su
cui costruire. Il punto di arrivo è invece
piuttosto chiaro e si può riassumere affermando
che il nichilismo è un processo,
una storia, e non è un fatto che, a un
certo punto, arriva per caso o una nuova
teoria del mondo con cui all’improvviso
fare i conti. Persino Cartesio è un nichilista
quando riprende le idee di Platone,
modello imperituro di qualsiasi cosa c’è
nel mondo, e le trasforma in enti percepibili
e conquistabili. Il nichilismo si caratterizza
quindi come un processo di
indebolimento del reale: così Kant, per
cui il mondo della natura è ordinato secondo
le categorie a priori dell’uomo,
cede il passo a Schopenhauer, per cui il
mondo è una rappresentazione del soggetto
assoluto, fino ad arrivare Nietzsche
che decreta apertamente la disponibilità
del mondo alla volontà di potenza,
unica e libera legislatrice di tutto ciò
che esiste. Di fronte a tutto questo Heidegger
sentenzia: “Alla fine della metafisica
sta la tesi: homo est brutum bestiale”
mettendo una pietra tombale sulla
gloriosa storia fin qui culminata. Ed è in
questo momento del processo, che spunta
Baudrillard con la sua idea di schema
frattale, con la sua geografia del mondo
nichilista e postmoderno.
Baudrillard parla di fine dell’orgia,
spiega cioè che la modernità, nella sua
volontà illuminista e liberatoria, ha
esaurito ogni pulsione vitale e ha portato
l’umanità ormai esausta a quella che
un filosofo eccentrico e imprevedibile
come Alexandre Kojève aveva definito
“Fine della storia”: “La fine della storia
è la morte dell’Uomo propriamente detto
– dice Kojève – dopo questa morte restano
dei corpi vivi dotati di forma umana,
ma privi di Spirito, cioè di Tempo o
di potenza creativa”. Se si vuole è un altro
modo di descrivere il nichilismo, certo
più ironico e amaro, visto che la morale
della modernità è quella delle grandi
minchionature faustiane: io modernità,
io filosofia, ti ho liberato, uomo, ho
realizzato tutti i tuoi desideri, ma ora
che hai ottenuto tutto quello che volevi,
non ti resta in mano nulla, sei tornato
animale e, come uomo, sei morto.
Scrive Baudrillard: “Se si dovesse caratterizzare
lo stato attuale delle cose, direi
che è quello del dopo orgia. L’orgia è
tutto il momento esplosivo della modernità,
quello della liberazione in tutti i
campi. Liberazione politica, liberazione
sessuale, liberazione delle forze distruttive,
liberazione della donna, del bambino,
delle pulsioni inconsce, liberazione
dell’arte. (…) Oggi tutto è liberato, tutti i
giochi sono fatti e ci ritroviamo collettivamente
di fronte alla domanda cruciale:
che fare dopo l’orgia? Possiamo ormai
soltanto simulare l’orgia e la liberazione,
far finta di muoverci nella stessa direzione
accelerando, ma in realtà acceleriamo
nel vuoto (…). Che fare allora? E’ questo
lo stato di simulazione, quello in cui possiamo
solo rimettere in gioco tutti gli scenari
perché hanno già avuto luogo”. Non
resta che la ripetizione addormentata, un
po’ museale, della storia passata; la
realtà si scopre immagine, si sbriciola, vive
nel ricordo, gli uomini si vedono mummie
prive di ombra. Politica, scienza, economia,
sessualità e arte si volatilizzano, si
trasformano in vapore acqueo, gocce del
mare: piccole Sissi che si coprono il volto
perché hanno perso lo sguardo. Diamine.
Ogni cosa si estetizza, Andy Warhol e
Marcel Duchamp mettono sul piedistallo
il primo una scatoletta di fagioli e il
secondo un orinatoio, tutta l’insignificanza
del mondo viene trasfigurata dall’estetica;
la politica si estetizza nello
spettacolo, il sesso nella pubblicità;
nello stesso tempo tutto diventa sessuale,
il sapere si risolve in una dialettica
della libidine (psicoanalisi), e tutto diventa
anche politico: la vita quotidiana,
ma anche la follia, il linguaggio, i media,
il desiderio, eccetera diventano politici
in quanto parte del processo liberatorio
della modernità. Tutto è in tutto.
E niente è in niente. Spruzzi. Jackson
Pollock. Bianco assoluto. Il corpo
ambisce al protozoo, intende riprodursi
per clonazione, mutarsi in una piccola
macchina celibe. Scrive Baudrillard:
“E il sesso che abbiamo, questa piccola
parte di destino che ci resta, questo minimo
di fatalità e di alterità, anche questo
lo si potrà cambiare a piacere. Senza
contare la chirurgia estetica degli
spazi verdi, della natura, dei geni, degli
eventi e della storia (la Rivoluzione rivista
e corretta, con un lifting in direzione
dei diritti dell’uomo). Tutto deve
essere postsincronizzato secondo criteri
di convenienza e di compatibilità ottimale.
Ovunque si arriva a questa formalizzazione
inumana del volto, della
parola, del sesso, del corpo, della volontà,
dell’opinione pubblica. Qualunque
barlume di destino e di negatività
deve essere espulso per qualcosa che
assomiglia al sorriso morto nelle funerals
homes, per una redenzione generale
dei segni, in una gigantesca manovra
di chirurgia plastica”.
Ripetendo un ragionamento simile a
quello che fece Pier Paolo Pasolini a
proposito dell’aborto, quando Pasolini
sostenne che il reato di aborto si poteva
includere in quello di eutanasia, in un
piccolo patto criminale a opera della
natura per evitare la fine dell’umanità
per sovrappopolazione, per pletora planetaria,
Jean Baudrillard sostiene per
esempio che l’Aids e il terrorismo non
siano altro che sinistre terapie messe in
atto, (sempre dalla natura?), per cercare
di limitare l’esplosione nichilista.
“Conosciamo bene – scrive Baudrillard
– l’autoregolazione spontanea dei sistemi
che producono i propri incidenti, i
propri arresti, al fine di sopravvivere.
Non c’è società che non viva contro il
proprio sistema di valori – bisogna che
ne abbia uno, ma è altrettanto necessario
che essa si determini contro di esso.
Ora, noi viviamo su due princìpi almeno:
quello della liberazione sessuale e
quello della comunicazione e dell’informazione.
Tutto avviene come se la specie
producesse da se stessa, attraverso
la minaccia dell’Aids, un antidoto al suo
principio di liberazione sessuale, attraverso
il cancro, che è un’irregolarità del
codice genetico, una resistenza nei confronti
del principio onnipotente del
controllo cibernetico, e, attraverso tutti
i virus, un sabotaggio del principio universale
di comunicazione. (…) Altrettanto
va detto per il terrorismo: (…) non ci
protegge forse da un’epidemia di consenso,
da una leucemia e da un deliquio
politici crescenti, e dalla trasparenza
dello stato? Tutto è ambiguo e reversibile.
In fondo è con la nevrosi che l’uomo
si protegge nella maniera più efficace
dalla follia”. A proposito del ragionamento
di Pasolini sull’aborto e sul problema
demografico, Giorgio Manganelli
diceva: “Questo non è un glissando, è
uno slalom. A questo punto, viene una
gran nostalgia di Voltaire, di Swift, di
Bertrand Russell, magari della logica di
Aristotele, aio e pedante”, e lo stesso si
potrebbe, anzi si dovrebbe, ripetere qui,
con una differenza: non è slalom, Baudrillard
è già all’intertempo della sua
discesa libera. Perché al traguardo,
quando cioè viene ripreso l’argomento
del terrorismo alla luce dell’11 settembre,
Baudrillard scrive che il terrorismo
è colpa nostra, è colpa della nostra società
globalizzata e mercantile: “L’instaurazione
del sistema mondiale è il risultato
di una gelosia feroce: quella di
una cultura indifferente e di bassa definizione
nei confronti delle culture a alta
definizione – quelle dei sistemi disincantati,
disintensificati, nei confronti
delle culture a alta intensità – quelle
delle società desacralizzate nei confronti
delle culture o delle forme sacrificali.
(…) Oltre che sulla disperazione degli
umiliati e degli offesi, il terrorismo si
fonda (anche) sulla disperazione invisibile
dei privilegiati nella globalizzazione,
sulla nostra stessa sottomissione a
una tecnologia integrale (…). Il terrorismo
è il verdetto e la condanna che la
nostra società pronuncia su se stessa”.
E’ il nichilismo, bellezza. E’ lo schema
frattale che rende difficile, se non
impossibile, ogni partenza, ogni tentativo
di superare l’orgia della modernità,
e che tutto avviluppa e che trattiene a
sé, mordendo, con il veleno del paradosso,
lo sforzo di andare oltre, di rispondere
alla domanda su cosa è necessario
fare dopo l’orgia.
Si diceva che i filosofi muoiono in
modo complicato. Ecco, per avere troppo
frequentato le esuberanze della modernità,
Baudrillard è morto forse di
quello stesso nichilismo che non ha
mai smesso di indagare. Magari è
scomparso al di là del reale, afferrato
da quegli spruzzi che avevano già colpito
il volto nascosto dell’imperatrice
Sissi mentre passeggiava sul ponte del
panfilo Pelikan in compagnia del suo
insegnante di greco.

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