Tuesday, January 16, 2007

Relativismo e fanatismo islamico

E’ sulle Stone Mountain, la catena rocciosa
nello stato della Georgia dove vive,
che il filosofo americano Lee Harris ha
imparato a lavorare sui fondamentali. Demografia
e relativismo, significato del Corano
e concetto di nemico, neosecolarismo e
razionalismo, matrimonio e sionismo. Temi
apparentemente distanti tra di loro, ma che
Harris da molti anni descrive come basamenti
della tensione alla sopravvivenza della
civiltà occidentale. In “Civilization and
its enemies” (Free press), un’opera salutata
anche dai liberal come un indispensabile
tour de force intellettuale sull’11 settembre,
Harris si era spinto a denunciare la perdita
dell’istinto di difesa in occidente.
Quest’anno Harris torna in libreria con
“The suicide of reason”, un pamphlet sul
crollo del “fronte interno” e del neorazionalismo
di fronte all’attacco del fanatismo
islamico. In questa lunga intervista al Foglio,
Harris anticipa i contenuti di un’opera
concepita come risposta alla domanda:
“Quale nemico stiamo affrontando?”.
Il “filosofo dell’11/9”, come è
stato ribattezzato, democratico per formazione
prestato ai repubblicani dopo
che il terrore islamico ha svelato il
suo volto, non edulcora
lo scontro di civiltà,
ritiene che sia
in gioco qualcosa di
più: il fallimento
della nostra civiltà. “Decadenza oggi descrive
un certo tipo di caffè. Una volta era
un concetto importante, indicava il pericolo
per il futuro della sopravvivenza. L’islam
radicale è una rivolta contro la decadenza
occidentale”. Questo Carl Schmitt americano,
pensatore laico cresciuto nel sud dei
battisti evangelici, risale alle origini del
progetto illuminista: “Con l’avvento del secolarismo
si intendeva creare persone che
si sarebbero comportate come ‘attori razionali’.
Abbiamo dimenticato il fanatismo.
Questa dimenticanza è approdata all’idea
seduttiva secondo cui sarebbe naturale
comportarsi in modo razionale: l’uomo razionale
è libero di realizzare quelli che
John Stuart Mill chiamava ‘esperimenti di
vita’. Cerca di minimizzare il nemico, spiegarlo
e negarlo. Vuole essere lo ‘spettatore
disinteressato’ di Adam Smith. Ci sono due
grandi minacce alla sopravvivenza dell’occidente:
una esagerata fiducia nel potere
della ragione e una profonda sottovalutazione
del potere del fanatismo”.
Due secoli fa l’esploratore inglese E.W.
Lane in Egitto scrisse che il contatto con la
cultura occidentale non solo aveva fallito
nella modernizzazione dei musulmani, li
aveva resi ancora più fanatici. “Il fanatismo
islamico è una formidabile arma nella
guerra per la sopravvivenza e ha dato all’islam
la capacità di espansione territoriale,
attraverso la conquista di cuori e menti”, ci
spiega Harris. “E’ difficile immaginare un
Egitto o un Iran preislamico”.
Il mutismo della ragione nasce dallo
scacco relativista. “Sono un ammiratore di
Joseph Ratzinger. In occidente giudichiamo
il successo di una cultura attraverso standard
materiali e utilitaristici. La posizione
relativista collassa nell’oscurantismo reazionario
che dice: tutte le culture sono incommensurabili,
è impossibile giudicare.
Lo scopo dell’educazione laicista diventa
‘liberare’ tutto, la fede sulla superiorità dell’occidente
è sostituita dal multiculturalismo,
dal sofisticato nonsense del relativismo.
Per noi l’uomo razionale non è più il
risultato di ciò che Norbert Elias chiamava
‘processo civilizzatore’: nasciamo razionali.
I nostri figli vengono al mondo civilizzati.
La società viene organizzata intorno alla
massimizzazione del piacere individuale.
E’ all’indifferenza per il futuro. Lo zenit
delle società del ‘carpe diem’ è espresso
dal ritornello ‘don’t worry, be happy’. Gli
uomini hanno bisogno invece di una tradizione
profonda che inizia dalla nascita. La
cristianità è stata necessaria per raggiungere
una genuina libertà. Ma la libertà di un
ethos del carpe diem ci invita a cogliere
l’attimo senza pensare alle generazioni future.
Se siamo liberi dalle tradizioni di chi
ci ha preceduto, perché i nostri figli non dovrebbero
avere il diritto di liberarsi di noi?
Una civiltà persiste quando c’è un diffuso
senso della necessità etica della presente
generazione per la terza, i nipoti, i non nati.
E’ questo il più alto contributo etico della
famiglia: la promozione di un ideale etico
nella forma del nostro destino. Il matrimonio
non ha niente a che fare con la biologia:
è un’elaborata costruzione sociale
eretta contro l’anarchia dell’identità umana,
allo scopo di trasformare la natura in
alto ideale etico. E’ l’istituzione più liberale
che l’uomo abbia mai conosciuto”.
Quando confrontiamo il nostro ethos con
il fanatismo islamico, dobbiamo rispondere
alla domanda: “Il nostro strumento di giudizio
deve essere il momento presente o quella
che lo storico Fernand Braudel chiamava
‘la lunga durata’ nel tempo? Se l’occidente si
fonda sull’ethos di John Maynard Keynes, teorico di un welfare deresponsabilizzante,
quale possibilità di sopravvivenza abbiamo
nel confronto con una cultura capace di morire
e di uccidere? Come hanno detto i terroristi
ceceni durante l’assedio del teatro di
Mosca: ‘Alla fine vinceremo, siamo disposti
a morire, voi no’”. La stessa frase che un giovane
arabo disse ad André Gide.
Le élite occidentali hanno creato un mito
autoprotettivo: la modernità. “Sarebbe
per l’umanità ciò che la maturità è per l’individuo.
Quando ci confrontiamo con il fanatismo
ceceno, ci consoliamo pensando
che sia una fase di passaggio di uno sviluppo
inevitabile. La modernità diventa la cura
dell’arretratezza islamica. La nostra
profonda riluttanza ad affrontare una simile
guerra sulla vita e sulla morte è comprensibile,
quando assume la forma della
negazione e del wishful thinking diventa
una predisposizione al suicidio”. Abbiamo
mistificato la ragione disconoscendo l’odio
di chi ha portato la morte nelle nostre strade.
“L’occidente è unico nel preservare la
tradizione della razionalità critica. Ma è
unico anche nel fare della ragione un feticcio
virtuale. Il concetto illuministico di ragione
è pericolosamente errato. Nella
Francia del 1793 la ragione divenne un dio
che tagliava teste. Il concetto di nemico sfida
quest’insistenza illuministica sulla supremazia
della ragion pura”.
La ragione può salvarci? “No, ma una eccessiva
fiducia nella ragione, il razionalismo,
può distruggerci. Possiamo e dobbiamo
accettare l’unicità dell’occidente e la
sua superiorità etica, ma senza lasciare inevasa
una domanda: rappresenta uno sviluppo
irresistibile? O una configurazione culturale
che avrà il suo giorno al sole per poi
scomparire dalla storia? Se il mito della
modernità è corretto, il peggio che possiamo
aspettarci è una serie di guerre fra l’occidente
e l’islam che tenta futilmente di resistere
alla modernizzazione. Ma se non è
corretta, affronteremo un tracollo della civiltà”.
Il decano del postmodernismo, Stanley
Fish, in un articolo su Harper’s ha riconosciuto
la profonda convinzione che ha
motivato i terroristi dell’11 settembre. “La
posizione di Fish è più realistica di coloro
che non hanno dato credito al coraggio dei
terroristi. Non riusciamo ad afferrare cosa
abbia spinto diciannove uomini a suicidarsi
con dei jumbo. Ci rifiutiamo di attribuire
all’altro caratteristiche che troviamo deplorevoli
e finiamo per costruire un altro illusorio
che si veste e mangia come noi. Noi liberali
d’occidente siamo stati abituati a
guardare ai nuovi Tamerlani con orrore e
repulsione, cerchiamo di spiegarci come i
terroristi islamici possano uccidere i bambini
di Beslan e gli iracheni che giocano a pallone. La sinistra cerca di spiegare l’islamismo
come movimento di liberazione, altri
lo hanno bollato come ‘fascismo islamico’.
Sono interpretazioni etnocentriche che
riducono l’islamismo a modello occidentale
per renderlo meno alieno. Ma l’islamismo
non è altro che il revival della brutale
strategia di conquista originaria”.
Come è stato possibile che l’Iraq, promessa
della riforma democratica in medio
oriente, si sia trasformato nel girone infernale
in cui i jihadisti uccidono ragazzi in
shorts, venditori di ghiaccio e barbieri che
osano radere i figli di Allah? “L’intervento
americano in Iraq, come quello in Vietnam,
è avvenuto nello spirito della ‘giusta crociata’,
non per sfruttare il popolo vietnamita e
iracheno, ma per liberarli. In Iraq l’America
sta spendendo miliardi di dollari e migliaia
di vite americane per creare una società
democratica indipendente. Bush avrebbe potuto imporre un governo fantoccio,
ma ha lasciato gli iracheni liberi di scegliersi
il leader. Ciò che cercava non era un
impero, ma la ‘fine della storia’. Era uno
scenario di ottimistico progresso derivato
da Karl Marx. E’ stata una avventura di ingegneria
sociale guidata dallo spirito che
animava la Rivoluzione francese: tutto
smantellato, esercito e polizia; libere elezioni
e assemblea parlamentare; l’Iraq sarebbe
prosperato nella libertà”.
Il destino della missione in Iraq dipende
allora da una domanda: chi è il nostro nemico?
“Se sono i seguaci di Saddam, più
una manciata di sciiti e di terroristi importati,
per l’Amministrazione Bush sarà possibile
eliminare questi elementi tossici dal
corpo politico iracheno. Ma se il nostro nemico
è virtualmente l’intera popolazione
maschile sotto i 25 anni, lo scenario è meno
ottimistico. ‘Conosci il tuo nemico’ è una
ammirevole massima della prudenza. Il nemico
è colui che è disposto a morire per ucciderti.
Gli obiettivi di al Qaida non sono
militari, ma simboli del potere americano
riconoscibili dalla strada araba. Gli ingegneri
anglosassoni i cui corpi sono stati
smembrati non volevano ‘le stesse cose’
della folla che li ha linciati. Erano in Iraq
per aiutare il popolo, come i coraggiosi soldati
americani. Non immaginavano che la
loro morte sarebbe stata occasione di balli
per le strade. Il miglior modo per cogliere
l’orrore di questo veleno è ascoltare una
madre palestinese che offre il figlio di
quattro anni come vittima della propria agghiacciante
fantasia”. Dobbiamo tornare
alle origini dell’islam. “Fu attraverso una
devozione fanatica alla religione di Allah
che l’islam ha potuto combattere la tendenza
naturale a convertirsi. La sfida al mito
della modernità oggi viene dal fanatismo
dell’islam. L’islam non parla il linguaggio
dell’equilibrio dei poteri, ma della conquista.
Se l’occidente fallirà, il destino dei razionalisti
sarà oscuro. In nessun’altra parte
del mondo i missionari cristiani hanno fallito
nel fare conversioni quanto nell’islam.
Perché i musulmani dovrebbero rinunciare
a un’istituzione, il jihad, che è stato ed è
ancora l’agente storico dell’espansione nel
pianeta? Così come ci sono i negazionisti dell’Olocausto, esiste una tendenza a negare
la realtà del jihad. L’11 settembre non è
stato un atto di terrore clausewitziano, ma
un grande rituale dimostrazione del potere
di Allah. Una manciata di musulmani, uomini
la cui volontà era assolutamente pura,
come ha dimostrato il loro martirio, si abbatterono
contro le torri erette dal Grande
Satana. C’era un’altra dimostrazione che
Allah stava dalla parte dell’islam radicale
e che la fine del Grande Satana era vicina?
L’islam radicale vuole che l’occidente cessi
di esistere”. Bush ha introdotto la parola
“male” nel vocabolario politico. “Gli americani
oggi sono angosciati benignamente
dalla domanda: ‘Perché gli islamici ci odiano?’.
E tendono a pensare perché abbiamo
fatto qualcosa. Il vero obiettivo dell’attacco
non era Bush, siamo noi. Bandire la parola
‘male’ è un atto di imperdonabile disonestà
morale. Gli americani usavano
questa parola contro schiavitù, nazismo,
comunismo, segregazione, orrori di Auschwitz.
L’intellighenzia, diventata nemica
della civiltà rifiutandosi di accettare l’idea
che la civiltà possa avere un nemico, non
ha idea delle conseguenze che avrebbe la
perdita nell’americano medio della sua
semplice fede in Dio. Le loro virtù e pensieri
fatti in casa sono il basamento della
decenza e dell’integrità nella nostra nazione.
Queste sono le persone che danno i
propri figli per difendere il bene e sconfiggere
il male. Se ai loro occhi questa chiara
distinzione viene offuscata dalla disseminazione
del relativismo morale e di una
estetica della frivolezza etica, dove altro la
decenza umana troverà simili difensori?”.
E’ la natura del Corano a differire radicalmente
dagli altri libri sacri. “Il Corano è
coeterno con Allah, è sempre esistito ed
esisterà sempre. E’ in profondo contrasto
con il concetto cristiano di Pentecoste. Il
jihad riconosce un solo status quo, il Dar elislam,
la terra della pace, al di fuori della
quale c’è solo la terra della guerra. E’ l’obiettivo
del jihad: espandere il dominio
dell’islam. L’islam ha una missione e non è
quella di creare imperi: è la diffusione dell’islam.
E lo scopo del jihad non è solo di
conquista, ma di conversione. Un confronto
con le guerre di conquista di Hitler illumina
l’unicità del jihad. Un ebreo russo
sotto il dominio tedesco non aveva possibilità
di convertirsi all’arianesimo. Nel caso
del jihad, c’è l’opzione della sottomissione.
Al Zarkawi mandò a Bush una lettera in cui
lo invitava a convertirsi e tutto sarebbe finito”.
Il revival del jihad è l’essenza dell’islam
radicale. “Il jihad ha dimostrato una
grande capacità di adattamento nell’epoca
del post 11 settembre, non c’è ragione per
pensare che non possa adattarsi ai cambiamenti
della modernità. I jihadisti non sono
interessati a vincere, nel senso che noi diamo
alla parola. Si ritengono vittoriosi anche
solo rendendo invivibile il mondo. Non
usano spade e scimitarre, ma il terrore:
New York, Madrid, Londra, Amsterdam. Gli
islamisti hanno un nemico, la democrazia.
E hanno la demografia: la fine del testosterone
non culminerà nella fine della storia,
ma dell’occidente così come noi lo conosciamo.
L’islam radicale è un ritorno allo
spirito delle tribù originarie”.
E’ fallita ogni strategia con l’islam. “Primo
fallimento, il conversionismo. Dovremmo
fare dei musulmani dei secolaristi laici
e liberal. Ma i musulmani sono educati al rifiuto
di tutto ciò che minaccia di sovvertire
la supremazia dell’islam. Possiamo ricostruire
oledotti, edifici e infrastrutture della
società islamica, ma non possiamo farlo
con il codice d’onore della mentalità. Il conversionismo
si è rivelato una falsa promessa”.
Poi c’è l’assimilazionismo. “Si dà per
scontato che i musulmani possano essere
assimilati nell’ambiente secolarizzato. Ma è
il contrario: chiedono alla cultura di adeguarsi
a loro. Un codice etico intollerante
trionferà sempre su un codice etico del carpe
diem. I nuovi iconoclasti islamici hanno
il potere di distruggere qualsiasi immagine
in disaccordo con il loro malinconico fanatismo.
Stiamo perdendo questa guerra. Dalle
foto di chi si gettò dalle Twin Towers allo
scannamento di Nick Berg, il nemico ci ha
sommerso di immagini che ci tormenteranno
fino alla fine dei nostri giorni. Anziché
noi assimilare loro, siamo noi ad assimilarci
a loro”. Terzo fallimento, il seduzionismo.
“I musulmani saranno sedotti a diventare
moderni. Goebbels e Hitler pensavano che
fosse stato un errore lasciare i soldati a Parigi
troppo a lungo. Mohammed Atta e gli altri
dell’11 settembre sembrava, per come vivevano,
che fossero stati sedotti dalla cultura
del carpe diem. E’ come il serial killer
dello Yorkshire, confessò di aver ucciso le
prostitute perché lo avevano tentato. In
realtà erano educati a essere santi guerrieri,
difficile sedurli con l’ethos edonista”.
Harris crede nella necessità dell’eccezione
americana. “Gli Stati Uniti rappresentano
la principale fonte di legittimazione dell’ordine nel mondo e se venisse sovvertita,
entreremmo in quel genere di crisi della legittimità
della Prima guerra mondiale, con
il collasso di quattro imperi e l’Olocausto
alla fine della Seconda guerra mondiale.
Gli Stati Uniti devono essere primi fra
eguali, riservarsi di intervenire unilateralmente,
non per sovvertire le regole del liberalismo
internazionale, ma per rinnovarle”.
Ma Harris resta pessimista. “L’occidente è
completamente sulla difensiva. Possiamo
avere una enorme capacità militare e un
benessere diffuso, ma abbiamo perso il
senso di fiducia nella superiorità della nostra
civiltà. Il fanatico islamico è guidato
dalla convinzione di avere una missione sacra.
Gli stati moderni non possono rispondere
come vorrebbero al terrore senza violare
i principi umanitari che sono le conquiste
della civiltà occidentale. Per questo
il ‘contenimento’ non ha alcuna rilevanza al giorno d’oggi. L’Unione Sovietica era costretta
a considerare le conseguenze. Oggi
invece anche se una bomba nucleare venisse
fatta esplodere a Chicago, gli Stati Uniti
non potrebbero rispondere con un attacco
nucleare su una grande città islamica”. Il
benessere del welfare ha come reso l’occidente
impermeabile alla minaccia. “Noi
pensiamo in termini di pensione, loro di secoli
e secoli. Quali figli domineranno la terra?
Se c’è una ‘roadmap’ nella cacciata
israeliana dei coloni dalle proprie case è
quella che informa i terroristi che ciò che
serve per sconfiggere l’occidente è un po’ di
pazienza e il sangue dei martiri”. Perché ci
odiano? “Fu la rivelazione di Theodor
Herzl quando in qualità di inviato fu mandato
a seguire il processo Dreyfus. Da studente
pensava che la soluzione alla ‘questione
ebraica’ fosse la completa assimilazione.
Ma la reazione delle folle francesi alla
condanna del colonnello pose fine a questa
illusione: ‘Morte agli ebrei’. Ma perché,
si domandò Herzl, vogliono uccidere tutti
gli ebrei? Herzl capì che persino in Francia,
una delle nazioni più civilizzate al
mondo, gli ebrei assimilati erano odiati in
quanto ebrei. Una verità che faceva eco a
Karl Lueger, il demagogo antisemita eletto
sindaco di Vienna un anno dopo l’arresto di
Dreyfus: ‘Decido io chi è ebreo e chi non lo
è’. Herzl abbandonò il sogno illuminista e
si volse al sionismo”.
La democrazia senza spada non ha difeso
gli ebrei dai nazisti e gli spagnoli dagli
islamisti ad Atocha. “Il popolo spagnolo ha
votato per abbandonare la dignità nazionale
e compiacere il fanatismo. Hanno votato
le forze dell’anticiviltà. La democrazia non
ha salvato la Spagna e non salverà noi dal
terrorismo, può essere usata dai nemici
della civiltà per raggiungere i loro scopi”.
Harris chiude sull’esempio della resistenza
olandese all’invasione francese, dimenticato
dagli epigoni multiculturali dell’Aia.
“Dobbiamo imparare dagli olandesi, pronti
in caso di attacco a inondare il paese, come
avvenne quando le armate di Luigi XIV
cercarono di occuparlo. Sapevano che la loro
indipendenza era un’anomalia senza
quel potente sistema di dighe. Per loro la libertà
era qualcosa per cui valeva la pena
battersi. Sarebbero sopravvissuti se avessero
pensato, come accade a noi, che ‘vogliamo
tutti le stesse cose’? L’occidente deve
imparare a difendere la rara cultura della
ragione, così come gli islamici ferocemente
difendono la loro. Se il tuo nemico è composto
da uomini che non si fermano di fronte
a niente, disposti a morire e uccidere,
devi trovare uomini dalla tua parte disposti
a fare lo stesso. Una società senza nemici
non ha bisogno di insegnare ai propri figli
come combattere e come correre quando
qualcuno vuole ucciderli. Ma una società
che ne ha deve fare tutto questo e deve
farlo bene, altrimenti perirà. Non abbiamo
alternativa dal combattere questa guerra.
E’ stato il nemico, non tu, ad aver deciso
cosa è questione di vita e di morte”.
Da Socrate all’illuminismo, la ragione è
stata concepita come una panacea cognitiva.
“Questa fede nella ragione come soluzione
universale ai conflitti umani è stata
la pietra fondativa dell’ottimismo occidentale
sul futuro dell’uomo. Oggi non accettiamo
più questa visione della ragione. O è
un pregiudizio etnocentrico oppure la ragione
è meramente ciò che fa la scienza. Il
neosecolarismo e il multiculturalismo non
sono in grado di spiegarci perché dovremmo
attaccare gli islamisti, anche quando
loro attaccano i nostri figli”. Il culto del
dubbio può condurre all’autodistruzione.
“Nella guerra fra fanatici e dubitaristi non
è difficile immaginare chi vincerà. L’unica
speranza è che la ragione umiliata riscopra
la propria legittimità nel confronto con
il fanatismo, riconoscendo se stessa come
nemica dei fanatici. Uno dei più bizzarri
paradossi del relativismo è che non possiamo
dire che la nostra religione e cultura è
meglio di altre. Una gloria dell’occidente è
stato lo sradicamento del virus del fanatismo.
Forse lo abbiamo raggiunto al prezzo
della nostra sconfitta”.
Dobbiamo ricordare il modo in cui i greci
esprimevano passato e futuro. “Noi diciamo
che il passato è dietro di noi e il futuro
davanti. Per i greci il passato era ‘prima’ di
loro, era il territorio che avevano attraversato.
Era il futuro a essere ‘dietro’ di loro,
furtivo come un ladro nella notte. Niente
può penetrare questa tenebra tranne i rari
istanti di previdenza che chiamavano
sophos, sapienza. Questi lampi dipendono
dalla capacità di ricordare ciò che è eterno
e non cambia, ciò che invece noi abbiamo
dimenticato”. L’errore della ragione astratta
è la dimenticanza. “Civiltà nascono e tramontano
e in ciascun caso la caduta non
era inevitabile, ma conseguenza di una decisione
o della mancanza di decisione. Gli
esseri umani avevano dimenticato il segreto
di come preservarla per i propri figli. Ci
stiamo pericolosamente avvicinando a questo
punto. Il passato dice che non può esserci
pace perpetua, chi è convinto di questa
illusione mette in gioco la propria sopravvivenza,
ci sarà sempre un nemico e il
conflitto sarà fra due modi di vivere che
non possono coesistere. Ma il passato non
dice come finirà. Franklin D. Roosevelt sapeva
di avere solo due scelte: resa o guerra.
Se la ragione tollera coloro che si rifiutano
di giocare secondo le regole della ragione,
il risultato sarà il suicidio della ragione”.
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