Wednesday, July 04, 2007

Perfetto, Giavazzi !

Oggi in Italia vi sono tre anziani, persone dai 65 anni in su, ogni dieci persone in età di lavoro, 15-64 anni. Fra quindici anni ve ne saranno quattro; nel 2050, quando i nostri figli vorranno andare in pensione, sette. Cioè dieci persone in età di lavoro dovranno produrre abbastanza per sostenerne oltre 17 (oltre, perché ci saranno anche dei bambini e dei ragazzi in età inferiore ai sedici anni).
Ma in Italia, come si sa, la partecipazione al mercato del lavoro è molto bassa: non tutte quelle dieci persone in età di lavoro lavoreranno. Si stima così che nel 2050 ogni lavoratore dovrà sostenere più di due persone: se stesso, un anziano e forse anche un bambino. E’ evidente che a quel punto o si lavorerà più a lungo, ben oltre i 65 anni, oppure la pensione non garantirà più una vecchiaia dignitosa. E’ giusto che oggi si vada in pensione a 57 anni, sapendo che i nostri figli dovranno lavorare fino ai settanta? In Spagna e Olanda il limite d’età è 65 anni; in Svezia 65 anni con 40 anni di contributi; in Germania 63 anni e 35 anni di contributi; in Francia, dal 1˚ gennaio, si dovrà aver versato 40 anni di contributi; in Svizzera 65 anni e 44 di contributi.
Si legge a pagina 169 del programma elettorale dell’Unione: «Con la tendenza all’aumento della vita media, l’allungamento graduale della carriera lavorativa dovrebbe diventare un fatto fisiologico». Appunto! Dal 1˚ gennaio prossimo entrerà in vigore la legge Maroni che innalza da 57 a 60 anni l’età minima per andare in pensione con 35 anni di contributi. La legge è stata approvata nel 2004, con tre anni di anticipo rispetto all’entrata in vigore.
Questo perché il governo Berlusconi accettò la richiesta dei sindacati di un congruo preavviso. I tre anni di preavviso sono trascorsi ed è venuto il momento di applicare ciò che prevede la legge. I sindacati, che pure avevano accettato la legge Maroni, ora esigono un nuovo slittamento dei tempi che consenta una maggior gradualità nel cambiamento delle regole. Ma se preferivano un innalzamento graduale dell’età di pensione, perché non lo hanno accettato tre anni fa? Oggi saremmo arrivati all’età minima di 60 anni senza scaloni.
La verità, come ha scritto Tito Boeri su La Stampa — e sostenuto Emma Bonino ieri a Roma — è che sindacati e sinistra radicale non vogliono alcun innalzamento dell’età: preferiscono un gigantesco scalone — dai 57 a 70 anni—purché non si applichi a noi ma solo ai nostri figli. Spesso i governi di sinistra che hanno più successo sono quelli preceduti da un governo di destra. Il motivo è che la destra è meno condizionata dai sindacati e spesso questo le consente di risolvere questioni —mercato del lavoro, pensioni — che per la sinistra è più complicato affrontare.
Il decennio di Tony Blair non avrebbe ottenuto valutazioni tanto favorevoli se prima di lui non avesse governato Margaret Thatcher. Lo stesso sta accadendo in Spagna a José Luis Zapatero, che governa sull’onda delle riforme varate da José Maria Aznar. A Parigi i socialisti più intelligenti sperano che il tentativo di Sarkozy di trasformare la Francia, dal mercato del lavoro alle università, abbia successo per poi ereditare un Paese trasformato. Romano Prodi non ha questa fortuna: Berlusconi, nonostante l’ampia maggioranza in Parlamento, ha per lo più sprecato occasioni, soprattutto quando si trattava di liberalizzare l’economia.
Ma in due aree il centro-destra ha varato riforme significative: nel mercato del lavoro, con la legge Biagi e sulle pensioni con la legge Maroni. In entrambi i casi basta applicare leggi già in vigore. Si può essere tanto miopi da non seguire l’esempio di Blair e Zapatero e gettare al vento questa occasione?
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