Sunday, July 08, 2007

La proposta di Alleva

Piergiovanni Alleva, direttore della Rivista giuridica del lavoro, fornisce una nuova idea nel dibattito per le pensioni, integrando la prima proposta che presentò sul manifesto del 21 giugno scorso e che ha poi ispirato le recenti ipotesi sugli incentivi. Fondamentale, però, è spiegare subito che il «sistema» Alleva è tutto incentrato sulla «volontarietà» dell'aumento dell'età pensionabile, senza dunque imporre alcun obbligo (neppure sotto forma di scalino) rispetto alle attuali condizioni (57 anni di età e 35 di contributi), ma rendendo nel contempo molto appetibile la permanenza al lavoro. Come dire: spingendo chi può e lo vuole a lavorare fino a 65 anni di età, o oltre i 40 di contributi, perché offre incentivi molto robusti, permette a chi voglia uscire (ad esempio tutti i lavoratori del manifatturiero, o con turni pesanti) di farlo altrettanto liberamente, dato che viene «coperto» dalla permanenza degli altri. D'altra parte oggi il lavoratore può fermarsi liberamente fino ai 65 anni sul posto di lavoro, dato che non è licenziabile fino a quando non abbia maturato la «pensionabilità per vecchiaia» (la «pensionabilità per anzianità» - 57 più 35 o 40 di contributi - infatti non basta per essere licenziabili). La proposta Alleva non è finanziata da «tesoretti» o stanziamenti pubblici, ma dagli stessi contributi dei lavoratori: non danneggia l'Inps né i conti pubblici (soddisfacendo dunque chi difende lo «scalone» o gli «scalini»), e assicura non solo pensioni più alte (fino all'82%-90% o addirittura vicine al 100% dell'ultima retribuzione), ma anche redditi complessivi più ricchi mentre si resta al lavoro.
Alleva, come è possibile ottenere tutto questo insieme?
Partiamo innanzitutto dalla mia prima proposta, e poi - subito dopo - spiegherò come l'ho integrata per spingere la permanenza al lavoro fino ai 65 anni di età o anche oltre i 40 di contributi. Ovviamente sempre per chi voglia farlo. Dunque, la «prima fase» della mia proposta è indirizzata a chi voglia fermarsi al lavoro dopo aver raggiunto i 57 anni di età e i 35 di contributi. Oggi, con il metodo retributivo, che prevede un 2% di rendimento ogni anno lavorato, la pensione può arrivare al 70% dell'ultimo stipendio, o al massimo all'80% se hai 40 anni di contributi. Io propongo che chi si ferma al lavoro possa far pesare di più gli anni di ritardo dell'uscita sulla futura pensione: si può arrivare fino a 60 anni di età maturando il primo anno il 3%, il secondo il 4%, il terzo il 5%. Ovviamente si può uscire alla fine di ogni anno, a 58, 59 o 60: non è obbligatorio farli tutti e tre. Così si potrà avere alla fine del percorso un assegno pensionistico più ricco del 12%, maturando l'82% dell'ultima retribuzione.
Vogliamo fare un esempio concreto?
Certo: poniamo che il lavoratore di cui parliamo abbia una retribuzione di 20 mila euro annui. Oggi può andare in pensione, con 57 anni e 35, ricevendo un importo pari al 70%, cioè circa 14 mila euro all'anno. Nell'ipotesi che invece faccia 40 anni di contributi, avrà l'80%, cioè circa 16 mila euro. Con la mia proposta, matura 1200 euro in più ogni anno, e può arrivare all'82% della retribuzione, pari a un assegno di 17.200 euro annui. L'Inps non ci perde, ma anzi resta in attivo, visto che per 3 anni non eroga la pensione e continua a incassare i contributi: ma per non caricare il lettore di numeri, lo rimando al primo articolo pubblicato sul manifesto del 21 giugno scorso, dove faccio il calcolo dettagliato.
Così abbiamo appurato che l'incentivo è abbastanza sostanzioso: perché invece di 14 mila euro di pensione annui, il lavoratore che voglia fermarsi per altri tre - fino a 60 - ne maturerebbe ben 17.200. La nuova proposta parla di una «fase due»: fermarsi al lavoro fino a 65 anni. Cosa prevede?
La proposta per la «fase due» è semplice perché in qualche modo prevede un prolungamento della «fase uno», ma in più aggiunge anche un arricchimento del reddito mentre si lavora. Il tutto, non a scapito della contribuzione, come invece prevede l'incentivo super-bonus Maroni. La mia proposta prevede che chi sceglie di lavorare oltre i 60 anni abbia due possibilità davanti a sé: la prima è che ritorni alla vecchia percentuale di rendimento annuo per la futura pensione (2%) e che nel contempo riceva ogni mese un assegno dall'Inps, integrativo allo stipendio, pari al 30% della pensione già maturata. So bene che sto derogando doppiamente alle normative vigenti: non solo il principio di non cumulo tra reddito da lavoro e pensione, ma per giunta si percepisce la pensione permanendo nello stesso posto di lavoro. Ma credo che già le leggi vigenti siano state superate nella proposta di portare la pensione oltre l'80% rispetto alla retribuzione. Ebbene, in questo modo, maturando appunto altri 2% per 5 anni (ma anche qui, non è obbligatorio fermarsi fino a 65, la permanenza si sceglie ogni anno), arrivo oltre il 90% dell'ultima retribuzione. In più, in tutti gli anni che mi sono fermato al lavoro, ho un reddito più sostanzioso. Dall'altro lato, se non voglio questo 30% subito, ma preferisco una pensione ancora più ricca in uscita, posso optare per la seconda via del bivio: far valere ogni anno di lavoro in più dal sessantesimo al sessantacinquesimo, invece che il 2%, ad esempio il 3%. Arrivo a maturare un assegno che è quasi il 100% dell'ultima retribuzione.
Facciamo di nuovo un esempio.
Sì, il nostro lavoratore con 20 mila euro di reddito annui, se sceglie di prendere come incentivo il 30% della pensione maturata, riceve ogni anno una somma di 4.920 euro, aggiunti alla sua retribuzione, che sono pari a 370 euro al mese. In più, se si è fermato per 5 anni, a questo punto ha maturato un assegno annuale di circa 18 mila euro. Se non vuole, viceversa, il 30% subito, matura un futuro assegno di quasi 20 mila euro annui.
Ma l'Inps non ci perde così?
No, e spiego perché: nel caso che quel lavoratore fosse andato in pensione a 60 anni, l'Inps avrebbe dovuto da quel momento pagargli 16.400 euro l'anno e cessato di riscuotere 6.600 euro di contributi (33% di 20 mila). Dal momento invece che resta in servizio gli paga solo il 30% della pensione pari a 4.920 euro - che si aggiunge però alla retribuzione. L'Inps risparmia 18 mila euro circa l'anno, (16.400+6.600-4.920) e quindi, nel quinquennio, circa 90 mila euro, ove il lavoratore percorra la via dell'incentivo fino in fondo, ossia fino ai 65 anni. In questo modo ho cercato di costruire una sorta di «ponte», di «bretella», tra la pensionabilità di anzianità (57 anni) e quella di vecchiaia (65), che molti lavoratori dovrebbero razionalmente essere invogliati a percorrere. Si prevedono non obblighi, ma incentivi sostanziosi, e che non gravano sull'Inps o sui conti pubblici.

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