Monday, April 23, 2007

Codardi

Non sono ancora intervenuto sulla vicenda
della Virginia Tech, principalmente
perché, in un mondo più sano, questo non
sarebbe certo un genere di incidente sul
quale si dovrebbe assumere una posizione
schierata. Ieri, però (…) mi è stato chiesto
che cosa ne pensavo e mi sono accorto di essere
sempre più infastidito e inquietato dal
modo e dal tono con cui la vicenda è stata riportata
dai media. (…) Lunedì sera, su Fox
News, Geraldo Rivera proclamava che dobbiamo
accettare il fatto che, in questo orribile
mondo in cui viviamo, i nostri “bambini”
devono essere “protetti”.
Punto primo: non sono affatto dei “bambini”.
Gli studenti della Virginia Tech erano
donne e (se ci perdonate l’espressione)
uomini ormai cresciuti. Sarebbero stati considerati
come degli adulti in qualsiasi altra
società di tutta la storia del nostro pianeta.
D’accordo, viviamo in una cultura selettivamente
infantilita, in cui i ventenni sono
“bambini” se prestano servizio nella Terza
Divisione di Fanteria a Ramadi ma “persone
cresciute” capaci di prendere decisioni
razionali se si sdraiano sul tappeto nell’Ufficio
Ovale del presidente Clinton. Ciononostante,
è estremamente dannoso considerare
adulti perfettamente cresciuti come
dei bambini che devono essere protetti. Dovremmo
piuttosto crescere i nostri bambini
facendogli capire che, nel corso della vita,
ci saranno momenti in cui ci si deve proteggere
da soli, e che, in un mondo “orribile”,
ci potranno persino essere momenti in cui
bisognerà scegliere se proteggere se stessi
o gli altri. Il fatto che, in quei primi cruciali
secondi in cui si deve prendere una decisione,
soltanto un anziano sopravvissuto all’Olocausto,
il professor Librescu, abbia
compreso istintivamente che si aveva il dovere
di agire offre un’immagine davvero triste
della nostra situazione.
Punto secondo: il costo di una società
“protetta” di eterni “bambini” è troppo alto.
Ogni 6 dicembre, data di una mia personale
ricorrenza, abbasso le bandiere a
mezz’asta e chiamo in causa tutto il genere
maschile canadese per la responsabilità
del “Massacro di Montreal”, quando quattordici
studentesse della École Polytechnique
sono state uccise da Marc Lépine (nato
Gamil Gharbi, figlio di un musulmano algerino
che picchiava la moglie, anche se queste
notizie non si leggono sui giornali). L’immagine
che qualifica l’attuale maschio canadese
non è quella di Marc Lépine/Gamil
Gharbi ma quella dei professori e degli studenti
presenti in quella classe, i quali,
quando quel killer solitario ha ordinato di
lasciare l’aula, hanno docilmente obbedito,
abbandonando al loro triste destino le studentesse
loro compagne di studi – un atto
di viltà che sarebbe stato inimmaginabile
in qualsiasi altra civiltà di tutta la storia
umana. Gli “uomini” sono rimasti ad aspettare
nel corridoio e, anche quando hanno
iniziato a sentire i primi spari, non hanno
fatto nulla. Poi, quando gli spari sono finiti
e Gharbi è uscito fuori dall’aula e gli è passato
davanti, non hanno di nuovo mosso un
dito. Quali che possano essere tutti gli altri
suoi difetti, non si può certo dire che il maschio
canadese sia caratterizzato da un eccesso
di testosterone.
Ho sempre pensato che l’America è diversa.
L’11 settembre ne è stata la prova. La
sola buona notizia di quel terribile giorno
è stata la reazione di quei passeggeri che
non si sono accontentati di seguire pedestremente
le obsolete procedure degli anni
Settanta sui dirottamenti ma hanno agito
come individui nati liberi. E pochi mesi dopo,
quando Richard Reid si è piegato per
cercare di far detonare l’esplosivo nascosto
nelle sue scarpe, in quel momento cruciale
persino dei francesi hanno avuto il coraggio
di saltargli addosso e metterlo ko.
Non facciamo un bene ai nostri bambini
se li cresciamo nella convinzione che si
possa affidare tutto alla coperta della sicurezza
governativa. La “protezione” in stile
Geraldo Rivera è una pura illusione: quando
qualcosa va improvvisamente storto – su
un aereo decollato da Logan in una serena
mattina di settembre o in un pacifico campus
universitario – non c’è lo stato pronto a
proteggerti. Tu stesso sarai chiamato a
prendere una decisione. Come ha detto la
mia illustre compatriota Kathy Shaidle:
“Quando diciamo ‘non sappiamo quello
che avremmo fatto nelle medesime circostanze’,
non facciamo altro che accettare la
codardia come, la posizione di default, l’atteggiamento
normale e automatico”. Mi
sembra più preciso dire che la posizione di
default è una passività terribilmente snervante.
I disadattati solitari con manie assassine
sono per fortuna piuttosto rari. Ma
questa passività detestabile e corrosiva è
diffusa ovunque e, a differenza dell’assassino
psicopatico, rappresenta una minaccia
esistenziale per la società.

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