Saturday, February 03, 2007

Jean- Noel Schifano e Napoli

Jean-Noel Schifano è innamorato di Napoli oltre il limite della provocazione, tanto da mettere in imbarazzo chi all’ombra del Vesuvio ci vive, sospeso tra inferno e paradiso, accerchiato da una quotidianità disperata. Ventitrè anni dopo la prima edizione con Pironti, ora lo scrittore francese, che per lungo tempo è stato direttore del Grenoble, ripubblica Cronache napoletane (Marlin, pagg. 177, euro 11,90, con la nuova versione di Tjuna Notarbartolo, precedentente tradotto da Felice Piemontese). Ma la vera novità è l’uscita in Francia, il prossimo aprile, del Dizionario innamorato di Napoli (Plot). Sempre innamorato? «Ora più che mai. Proprio in questi mesi in cui in Italia è in atto una scandalosa campagna-stampa contro Napoli, a colpi di copertine di settimanali. Napoli perduta? Ma quando mai? Non hanno capito niente di questa città. L’Italia la odia perché la invidia». Cominciamo subito con un’esagerazione. Napoli sembra una città senza futuro, almeno per chi ci vive. «Napoli nella sua grammatica esistenziale non ha futuro. Nel suo presente c’è il passato e nel suo passato c’è il presente». Stiamo freschi, allora. «Napoli vive un eterno presente. Per questo i napoletani fanno una grande fatica ad andare avanti ma voi sapete prendere il meglio, quando il resto d’Italia cerca di buttarvi addosso il peggio di sé». Insomma, è colpa degli italiani? Un po’ vittimistico. «Tra tutte le metropoli del mondo, Napoli è quella dove si vive meglio». Stentiamo a crederci. Basta spostarsi di qualche chilometro. «Bisogna avere altri occhi. Per leggere Napoli bisogna pensare a Rabelais e a Basile, non a Camus, perché Napoli non sopporta l’utopia». Un momento. Approfondiamo. «Sì, Napoli ha sempre rifiutato la purezza dell’utopia. Lo ha fatto non accettando l’Inquisizione spagnola e, poi, impiccando i rivoluzionari del 1799. Ama la corruzione della materia, perché la corruzione è la vita. Nasciamo dal fango e dalla merda e torniamo al fango e alla merda. Per questo Napoli non ama il fuoco purificatore, perché ha capito la vera essenza della vita». Insomma dovremmo tenerci l’immondizia e ringraziare pure? «Come gli alchimisti bisogna trasformare l’immondizia in oro». A questo ci ha già pensato la camorra. Ora lei attacca il mito dei martiri del '99. È diventato neoborbonico? «Non scherziamo. I napoletani possono avere nostalgia borbonica, ma non potranno mai avere nostalgie savoiarde. Garibaldi ha messo in tasca ai piemontesi tutto il Sud in modo inaspettato. E Vittorio Emanuele ha chiamato la camorra a guidare una città che ha depredato e che non capiva. La camorra era l’unica forza sociale che poteva controllare questo caos. I Savoia si sono impossessati anche della toponomastica. Io vorrei che piazza Plebiscito tornasse a chiamarsi Largo di Palazzo, come via Roma ha ripreso il nome di via Toledo». Ma ormai i napoletani si sono affezionati al nome Plebiscito. «Ma è un nome bruttissimo. Lo stesso concetto di plebiscito è terrificante. È un segno di dittatura. I Savoia sono partiti dai plebisciti e hanno portato al potere Mussolini. C’è una linea diretta tra Garibaldi e il fascismo». Le sue sintesi sono da brivido. Si rende conto che molti storici stanno saltando sulla sedia? «Bah, io so soltanto che sono secoli che i napoletani ricevono botte dall’esterno e resistono. Non cambiano. Tra un napoletano di cento anni fa anni fa e un napoletano di oggi non c’è differenza». Purtroppo. «È sempre colpa del governo centrale che tratta Napoli come una vecchia da assistere, mentre invece è la città più giovane d’Italia. E la sua vitalità deve sfogare in qualche modo». In che modo? «Liberandosi dal provincialismo di Roma, schiava del Vaticano. Ci vuole un’altra breccia di Porta Pia». Allora qualcosa dei Savoia lo salva. «Be’ sì. Comunque, la classe politica napoletana di oggi è succube di giochi di potere romani, come tutta l’Italia». Che fa il leghista ora? Roma ladrona? «La salvezza dell’Italia è nell’indipendenza delle Regioni e delle città. L’Italia ha perso l’unità. Non so se sia un bene o un male. È un fatto. E per fare rinascere Napoli ci vuole un’altra Italia, diversa, una Confederazione, come la Svizzera per esempio. Là le specificità delle singole parti del paese sono tutelate e incentivate, come i dialetti, per esempio». Mica ci potranno salvare le poesie di Salvatore Di Giacomo? «Certo che no. Ma Napoli ha una capacità imprenditoriale unica al mondo. Qui ci sono delle vere potenze legali e illegali». Delle seconde ce ne siamo accorti da tempo. «Voglio fare un discorso provocatorio, ma serio. Oggi la camorra non è la delinquenza dei Quartieri Spagnoli. La criminalità organizzata è fatta di imprenditori che hanno rapporti commerciali strettissimi con la Cina. Gran parte delle merci che arrivano in Europa, legalmente e illegalmente, fanno capo al porto di Napoli. I camorristi hanno capacità commerciali enormi, riescono a stabilire rapporti legali con la Cina e addirittura con il suo governo». Guardi che sta creando un caso diplomatico. «Ma sono cose note a tutti. Secondo me, bisogna fare uscire dall’illegalità gli imprenditori camorristi, loro saprebbero rilanciare l’economia napoletana e italiana». Un condono, una sorta di «chi avuto avuto avuto, chi ha dato ha dato ha dato»? «Ma no. Bisogna ripulirli del loro passato. Devono restituire una gran parte dei guadagni illeciti allo Stato, alla comunità alla quale le hanno tolte e lo Stato li sdogana». Insomma, per dirla con Marx, accettiamo la loro accumulazione originaria e li traghettiamo nel salotto buono dell’economia? «È quello che hanno fatto e fanno in America. Così è stato per grandi famiglie dal passato controverso, come i Kennedy, per esempio. Quando lo stato centrale soffoca l’economia, è naturale che nascono contropoteri come la camorra. La soluzione sta nel trasformare queste forze che lavorano per sé stesse in forze che lavorano per tutti. Integrarle nella società, non disintegrarle. Pensi che io farei addirittura un museo della camorra». Boom. «Non è uno scherzo. Anche i lager nazisti sono visitati dai turisti. Museificare è affidare alla Storia, allontanarsi dal male e recupare le forze vive». Ma la camorra non si batte con i musei. Sarebbe troppo facile. «Napoli ha generato la camorra e saprà riassorbirla. La gente trattata come monnezza si trasforma in monnezza. Bisogna uscire da questa logica». Sono stordito. Ha qualcosa da dire anche alla classe politica, quella legale? «Chi governa Napoli deve uscire dall’ideologia, deve capire la città in cui vive e tirarne fuori tutte le energie creative. Non bisogna avere paura di essere napoletani. Per salvarvi dovete esserlo profondamente». Come si fa a essere profondamente napoletani? «Puntando sulle qualità che avete». Ci rincuori, quali sono queste qualità? «La grande capacità di comunicare, la disponibilità a comprendere l’altro, l’assoluta mancanza di razzismo, la curiosità, l’intelligenza permanente, la vivacità nelle decisioni, quando vi è data la possibilità di decidere». Non ci resta che leggere il suo «Dizionario». «Resterete a bocca aperta»

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