Wednesday, July 25, 2007

Come colpire la 'ndrangheta

Una chiave per aprire le casseforti delle cosche. E svuotarle. A memoria di cronista, per la prima volta un giudice in sede civile costringe 16 imputati condannati per associazione mafiosa a risarcire un'amministrazione locale. Un indennizzo per i danni causati dal crimine organizzato al territorio, secondo una logica affatto scontata fino ad oggi. Una svolta che parte dalla Calabria, dal cuore della Piana di Gioia Tauro, feudo della 'ndrangheta. Il giudice del tribunale di Palmi Antonio Salvati di accogliere la richiesta di maxirisarcimento del comune di Rosarno, per danni all'immagine, morali ed economici. Nomi eccellenti, famiglie del gotha della 'ndrangheta come i Piromalli e i Bellocco, dovranno sborsare 9 milioni di euro con gli interessi al piccolo comune del Reggino. Ci sono anche pezzi da 90 come Carmelo Bellocco, Girolamo Molè, Gioacchino e Giuseppe Piromalli, reucci di Rosarno e Gioia Tauro, tra i 16 costretti a mettere mano ai beni di famiglia. Furono condannati per associazione mafiosa nel processo Porto, avviato a fine anni 90 dalla Dda di Reggio dopo un'inchiesta sulle infiltrazioni nel porto di Gioia Tauro, il porto della 'ndrangheta, che costò ai clan decine di arresti e sequestri.
Quella di Palmi, spiega il presidente della commissione parlamentare antimafia Francesco Forgiane, è «una sentenza simbolo». Dello stesso avviso il senatore calabrese di Sd Nuccio Iovene. Mentre Libera ribadisce l'importanza della costituzione di parte civile come strumento di contrasto alle mafie, da affiancare alle confische. Una sentenza che soprattutto rende merito all'operato di un politico antimafia come Peppino Lavorato, l'ex sindaco che volle il suo comune contro le cosche anche in sede civile. E che restituisce il valore di una stagione politica importante, quella dei sindaci progressisti.
Con la sentenza di Palmi si afferma un principio rivoluzionario: «E' provato - secondo il giudice - che l'attività delle cosche abbia interferito con l'esplicazione delle potenzialità economiche del territorio». Rifacendosi al processo Porto, il giudice rileva come «la pervasività e l'ampiezza del controllo sulle attività economiche connesse al porto di Gioia Tauro ha presentato connotati tali da rendere pienamente sussistente il nesso causale» tra presenza mafiosa e danno economico per le comunità locali, con una vera e propria «occupazione armata del territorio».
Non sfugge la portata della decisione al legale del comune, l'avvocato Salvatore Costantino, che parla di «sentenza di straordinario rilievo» e di «precedente significativo», che «dà senso alle costituzioni di parte civile dei comuni» e dà agli amministratori un'arma agile e affilata contro le cosche: «Li fornisce di uno strumento ordinario, e sottolineo ordinario» per essere risarciti dei danni provocati dalle cosche. Una grande vittoria per Lavorato, ex parlamentare Pci ed ex sindaco Ds di Rosarno, che capì l'importanza della costituzione di parte civile.
Dopo i rinvii a giudizio, racconta, «saputo che i comuni erano indicati come parti lese nelle carte del procedimento Porto, fu naturale la costituzione di parte civile in sede penale». Lavorato non si ferma qui, e chiama in causa la Provincia di Reggio, la Regione Calabria e il governo, tutti targati Ulivo, «chiedendo di stare al fianco dei comuni contro la 'ndrangheta». La risposta è positiva, per una volta il fronte compatto. Arrivano le condanne, per i 16 che avevano chiesto il rito abbreviato, e nel 2002 le sentenze definitive. Così Lavorato «rilancia» e dà mandato di chiedere il risarcimento in sede civile. Un'avventura che vedrà il comune di Rosarno solitario contro i Bellocco e i Piromalli. Perché intanto soffia il vento della destra e le altre istituzioni si defilano. Anche Rosarno passa alla Cdl, ma quel procedimento resta in piedi, in silenzio.
«Oggi arriva una sentenza storica che ci indica la strada per combattere la mafia. Fino in fondo», sostiene l'indomito Lavorato con una certa amarezza, chiedendosi perché «l'ente più piccolo e indifeso sia stato lasciato solo». Ma oggi Peppino Lavorato non è più isolato. Lo sottolinea il presidente Forgione, che si appresta a girare la Calabria per mettere a punto una strategia incisiva di lotta alla 'ndrangheta, un obiettivo dichiarato della sua gestione dell'antimafia. «La sentenza di Palmi - dice - parla dell'importanza della costituzione di parte civile dei comuni, ma ci indica anche un'altra via per aggredire i patrimoni delle famiglie mafiose, in questo caso di due famiglie importanti come i Piromalli e i Bellocco». Una strada da seguire fino in fondo anche per il senatore Iovene, membro della commissione Antimafia: «Questa sentenza dimostra che non è un fatto simbolico, ma politicamente e concretamente rilevante anche perché si riconosce un principio fondamentale: la presenza dei clan danneggia il territorio e le comunità».

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