In occasione dell'approvazione della finanziaria, un autentica oscenità per chiunque abbia a cuore il riformismo in questo paese, ostaggio com'è del massimalismo di rifondazione e delle clientele di tutti gli altri, ecco un bell'intervento sul foglio sullo stato della scuola in Italia.
Il tentativo del ministro dell’Economia di racimolare qualche risparmio anche sulla spesa dedicata all’istruzione ha suscitato una reazione colossale, che l’ha costretto all’ennesima ingloriosa ritirata.
Quelli che chiedono di spendere di più nella scuola pubblica hanno vinto, come sempre, ma in realtà l’organizzazione scolastica italiana è una specie di buco nero, che assorbe risorse crescenti producendo risultati sempre meno convincenti. I dati di fondo sono noti: in Italia c’è il maggior numero di insegnanti per addetto fra i grandi paesi industrializzati, e un livello dell’istruzione degli studenti tra i più bassi. Inoltre, al crescere del livello di studi, decresce il risultato ottenuto,che è passabile solo nelle elementari, diventa scarso nella media inferiore, pessimo in quella superiore, per non parlare dell’università, che perde per strada la maggior parte degli iscritti senza che conseguano la laurea. La corporazione scolastica, che si è consolidata come accade sempre in un sistema nel quale non esiste competizione, rifiuta ogni riforma che punti a ricostruire una relazione di efficacia tra la scuola e la società produttiva. Questo obiettivo, con la benedizione dell’attuale ministro della Pubblica istruzione, è stato condannato come aziendalistico o, peggio ancora, efficientistico. Per chi la domina, la scuola non deve rispondere alle esigenze del paese, ma restare se stessa, una “comunità in cammino”, come dice retoricamente il ministro Giuseppe Fioroni, anche se nessuno sa dove vada. La radice dell’inefficienza della scuola italiana è l’assoluta assenza di concorrenza e di valutazione della qualità del “prodotto”. Non si tratta solo della concorrenza tra pubblico e privato, azzoppata dalla inapplicazione dei principi della parità scolastica, ma anche della mancanza di competizione tra istituti pubblici, che non ha senso se non produce alcun esito per chi ottiene risultati migliori. In questo clima di burocrazia dominata dalle corporazioni sindacali, anche gli sforzi degli insegnanti volonterosi, che non mancano, vengono frustrati. In questo modo, peraltro, si viola la sostanza del diritto allo studio, perché la formazione che si offre non è in grado di fornire un bagaglio di conoscenze adatto alla competizione che esiste nel mondo del lavoro, naturalmente a svantaggio di chi proviene dai ceti meno abbienti. E’ giusto che un paese investa nella scuola per preparare il proprio futuro, ma farlo senza riformarla profondamente significa finanziare non l’istruzione ma la burocrazia corporativa.
Saturday, September 30, 2006
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