Guido Ceronetti per “La Stampa”
Dare Viagra e prodotti affini gratuitamente? Un NO di ripulsa totale, di raccapriccio.
Dovrebbe essere, per il prezzo, quasi inaccessibile. La farmacologia tecnologica è una volontà di potenza illimitata, e il desiderio erotico desacralizzato e reso artificiale come una rosa di plastica messa a svernare su un loculo, perde perfino il suo nome. Viagra umilia l’uomo e lo inganna con una fiamma bugiarda, umilia la donna con un segno di virilità che non è risvegliato dal proprio corpo e dalle proprie carezze ma da un telecomando azionato da una ricetta medica rilasciata benevolmente.
A batallas de amor campo de pluma (massima celebre gongorìna): il letto è un luogo di combattimenti tremendi ed estremi: lottiamo col sonno, coi sogni, con l’amore saziato e frustrato, col dolore e la morte, in ogni ora passata a letto - perché la notte non è mai tenera, e la danza macabra gira attorno ai letti al ritmo delle strofette miracolose di un Dies irae senza fine. Tutto l’uomo è impegnato a letto. Di rado lo visita la felicità in quel luogo: quando succede, nell’amore, il Divino è stato toccato e si ridiscende, alle pianure del bisogno e della noia.
Viagra è facile, Eros difficile. Se gli impotenti celebri - James, Stendhal, Amiel, Pavese, Baudelaire - non avessero sofferto tanto per l’esito orgasmico negato, l’ombra del farmaco virilizzatore ne avrebbe coperto la luminosità dell’opera. Fin dalla preistoria l’animale superintelligente è andato in cerca della sostanza che lo guarisse dalla morte e di quella afrodisiaca. I manuali di alimentazione afrodisiaca si vendono anche più dei periodici e dei fumetti arci stuzzicanti.
-Un bicchierino di marsala all’uovo con dentro un testicolo di toro (o di cammello) e fili nel tunnel meraviglioso come una locomotrice del San Gottardo!- Abbiamo a disposizione un arsenale plurimillenario di fili, foglie e membra della natura vivente addomesticata: allora perché il farmaco chimico, portatore di non pochi effetti indesiderati, in specie nelle malcaute vecchiaie? Perché il farmaco chimico, approvato dai topi e dall’onnipotenza multinazionale, ha l’aureola di scientifico, ha l’ipnosi della prescrizione medica, ha l’alone dell’infallibilità e della certezza, assicurando una povera, meccanica, prevedibile Buona Figura. Da tempo la psiche del volgo è stata modificata in profondità, dall’apparato mercantile e del profitto, affinché il suo principale stimolo a un consumo permanente (salvo ritiri precipitosi) fosse nella notte dell’esistenza questa stella di vittoria, rimasta quasi l’unica: scientifico, dunque buono.
Non è così. Buono è quel che è buono, sia o non scientifico. E scientifico è spesso una cosa e l’altra: buono e cattivo, ipotetico e correggibile sempre, sbagliato e giusto. La scoperta di Fleming fu un momento di bontà senza ombre: sessant’anni dopo, l’abuso di antibiotici è un contagio preoccupante e una quantità di battéri, dopo le prime sconfitte, li sfidano. La pillola contraccettiva è stata, è tuttora, il grande regista della liberazione femminile, è una residua speranza di freno demografico in un pianetuccio abitato dove il dotto utente di spermatozoo brucia sempre più acqua, e priva la terra di sostegno vitale (la bellezza si è rifugiata in interiore hominis) però la pillola liberatrice dalle insolenti gravidanze patriarcali non è innocua come una mentina, perché rinviare, richiamare, sconvolgere per anni il ciclo imprime tracciati morbigeni e «se si tocca il corpo tutto è perduto» mugugnava il grande biologo Jean Rostand.
Adesso l’Imperatrice Nuda pretende di regolare con l'eccitazione chimica anche la sessualità femminile di penuria e perfino quella ridotta al silenzio dagli anni: ti figuri una coppia in cui entrambi, incapaci di amarsi, aspettano che una capsula prescritta dal medico, addirittura rimborsabile per beneficenza di Stato, li obblighi a desiderare una fricarella sgradita o dimenticata? E l’effetto priapistico, da erezione incongrua, nell’uomo prostatico, sai che delizia, che funesto riascolto delle musiche di Dioniso dileguate!!
La vita dà e toglie. E perfino, feroce, toglie senza aver dato, e lascia, quando abbia dato, rimpianti che straziano e insieme illuminano. E anche per Viagra e la sua geopolitica d’invasione per disgregare meglio, stordendoli, attirandoli, esseri umani, vale la massima di Giobbe sulla polvere e sulla cenere che la Vulgata traduce Dominus dedit, Dominus abstulit. E’ da uomini veri rifiutare un soccorso facile, pericoloso e sospetto. La Scrittura dice anche, nel Cantico: «Il Desiderio è forte come la Morte». Verificare...
Tuesday, October 24, 2006
Sunday, October 08, 2006
Solidarietà a Robert Redeker
l’articolo incriminato di
Robert Redeker uscito il 19.09.06 sul Figaro.
Le reazioni suscitate dall’analisi di Benedetto XVI sull’islam e la violenza fanno
parte dell’obiettivo che lo stesso islam si pone: spazzare via la cosa più preziosa che possiede l’occidente e che non esiste in alcun paese musulmano, ovvero la libertà di pensiero e di espressione. L’islam sta cercando di imporre all’Europa le proprie regole: apertura delle piscine solo per le donne a determinati orari, divieto di satira della religione, pretesa di avere un certo tipo di alimentazione per i bambini musulmani nelle mense scolastiche, lotta per imporre il velo nelle scuole, accusa di islamofobia contro gli spiriti liberi. Come si spiega il divieto dell’estate scorsa
di portare il tanga a Paris-Plage? La spiegazione addotta è quantomeno strana: c’era
il rischio, si dice, di “turbare l’ordine pubblico”. Cosa significa? Che bande di giovani frustrati avrebbero rischiato di diventare violenti di fronte alla bellezza che faceva mostra di sé? Oppure si temevano manifestazioni islamiche, nelle vesti di brigate della virtù, nella zona di Paris-Plage? In realtà, il fatto che portare il velo in pubblico non sia vietato è qualcosa che può “turbare l’ordine pubblico” molto più del tanga, a causa della condanna che suscita questo strumento per l’oppressione delle donne. Non è fuori luogo pensare che tale divieto rappresenti una certa islamizzazione della mentalità francese, la sottomissione più o meno conscia ai dettami dell’islam. O quantomeno che questo sia il risultato dell’insidiosa pressione musulmana sulla mentalità della gente: le stesse persone che sono insorte contro l’inaugurazione di un sagrato dedicato a Giovanni Paolo II a Parigi non fiatano quando si costruiscono le moschee. L’islam sta cercando di obbligare l’Europa ad adeguarsi alla sua visione dell’uomo. Come già accadde con il comunismo, l’occidente è ora sotto sorveglianza ideologica. L’islam si presenta, esattamente come il defunto comunismo, come alternativa al mondo occidentale. E come il comunismo di altri tempi, l’islam, per conquistare gli animi, gioca su fattori emotivi. Ostenta una legittimità che turba la coscienza occidentale, attenta al prossimo: il fatto di porsi come la voce dei poveri di tutto il mondo. Ieri la voce dei poveri proveniva da Mosca; oggi viene dalla Mecca. Oggi degli intellettuali si fanno portatori dello sguardo del Corano, come ieri avevano fatto con lo sguardo di Mosca. Ora la scomunica è per l’islamofobia, come lo era stata in passato per l’anticomunismo.
Nell’apertura agli altri, che è propria dell’occidente, si manifesta una secolarizzazione del cristianesimo che può essere riassunta in questi termini: l’altro deve sempre venire prima di me. L’occidentale, erede del cristianesimo, è colui che mette a nudo la propria anima, assumendosi il rischio di passare
per debole. Come il defunto comunismo, l’islam considera la generosità, l’apertura
mentale, la tolleranza, la dolcezza, la libertà delle donne e dei costumi e i valori democratici come segni di decadenza. Sono debolezze che sfrutta volutamente grazie a degli “utili idioti”, buone coscienze imbevute di buoni sentimenti, per imporre l’ordine coranico nel mondo occidentale. Il Corano è un libro di una violenza inaudita. Maxime Rodinson sostiene, nell’Encyclopedia Universalis, alcune verità importanti che in Francia sono considerate tabù. Infatti, da una parte, “Maometto rivelò a Medina delle insospettate qualità di dirigente politico e capo militare (…) Ricorse alla guerra privata, istituzione comune in Arabia (…) Maometto inviò subito manipoli di suoi sostenitori ad attaccare le carovane della Mecca, punendo così i suoi connazionali increduli e, al contempo, ottenendo un ricco bottino”.
Dall’altra, “Maometto approfittò di questo successo per eliminare da Medina, facendola massacrare, l’ultima tribù ebrea ancora esistente, quella dei Qurayza, con l’accusa di comportamento sospetto”. Poi, “dopo la morte di Khadidja, sposò una vedova, brava donna di casa di nome Sawda, e anche la piccola Aisha, che aveva appena dieci anni. Le sue tendenze erotiche, a lungo represse, lo avrebbero portato a contrarre contemporaneamente una decina di matrimoni”. C’è un’esaltazione della violenza, perché il Corano mostra Maometto sotto questa luce: guerrafondaio senza pietà, predatore, massacratore di ebrei e poligamo. Ovviamente anche la chiesa cattolica ha le sue colpe. La sua storia è costellata di pagine nere, delle quali ha fatto ammenda: l’inquisizione, la caccia alle streghe, l’esecuzione dei filosofi Bruno e Vanini, la condanna degli epicurei, quella del cavaliere de La Barre, accusato di empietà in pieno XVIII secolo, non depongono a suo favore. Però c’è una differenza fondamentale tra il cristianesimo e l’islam: è sempre possibile tornare ai valori evangelici, alla dolce personalità di Gesù Cristo, riscattandosi
dagli errori della chiesa. Nessun errore della chiesa è stato ispirato dal Vangelo. Gesù è per la non violenza, e il ritorno al Cristo rappresenta la salvezza nei confronti di certi eccessi dell’istituzione ecclesiale. Il ricorso a Maometto, invece, rafforza l’odio e la violenza. Gesù è il maestro dell’amore, Maometto, il maestro dell’odio. La lapidazione di Satana che si ripete ogni anno alla Mecca non è solo un fenomeno superstizioso: non si riduce infatti allo spettacolo di una folla isterica che flirta con la barbarie, ma ha una portata antropologica.
Si tratta invero di un rito che ogni musulmano è invitato ad accettare, radicando la
violenza come dovere sacro nel cuore del credente.
Questa lapidazione, che ogni anno provoca la morte di fedeli calpestati dalla folla (a volte anche centinaia), è un rituale che ingloba la violenza arcaica.
Anziché eliminare questa violenza arcaica neutralizzandola, sulla scia dell’ebraismo
e del cristianesimo (l’ebraismo inizia con il rifiuto del sacrificio umano, che è l’ingresso nella civiltà, mentre il cristianesimo trasformerà il sacrificio in eucarestia), l’islam le crea un bel nido per crescere al caldo.
Mentre l’ebraismo e il cristianesimo sono religioni i cui riti sono rivolti contro la violenza e la delegittimano, l’islam è una religione che esalta la violenza e l’odio, sia nel suo testo sacro che in alcuni riti comuni. Odio e violenza pervadono il testo sul quale si formano tutti i musulmani: il Corano. Come ai tempi della Guerra fredda, la violenza e l’intimidazione vengono utilizzate al servizio di un’ideologia che si vuole egemone: l’islam, che mira a mettere la sua cappa di piombo sul mondo intero. Benedetto XVI sta soffrendo la crudeltà di tale esperienza. Come in altri tempi, è necessario dire a chiare lettere che l’occidente è “il mondo libero” nei
confronti di quello musulmano, e, come in quei tempi, gli avversari di questo “mondo libero”, funzionari zelanti del Corano, pullulano al suo interno.
Robert Redeker
Robert Redeker uscito il 19.09.06 sul Figaro.
Le reazioni suscitate dall’analisi di Benedetto XVI sull’islam e la violenza fanno
parte dell’obiettivo che lo stesso islam si pone: spazzare via la cosa più preziosa che possiede l’occidente e che non esiste in alcun paese musulmano, ovvero la libertà di pensiero e di espressione. L’islam sta cercando di imporre all’Europa le proprie regole: apertura delle piscine solo per le donne a determinati orari, divieto di satira della religione, pretesa di avere un certo tipo di alimentazione per i bambini musulmani nelle mense scolastiche, lotta per imporre il velo nelle scuole, accusa di islamofobia contro gli spiriti liberi. Come si spiega il divieto dell’estate scorsa
di portare il tanga a Paris-Plage? La spiegazione addotta è quantomeno strana: c’era
il rischio, si dice, di “turbare l’ordine pubblico”. Cosa significa? Che bande di giovani frustrati avrebbero rischiato di diventare violenti di fronte alla bellezza che faceva mostra di sé? Oppure si temevano manifestazioni islamiche, nelle vesti di brigate della virtù, nella zona di Paris-Plage? In realtà, il fatto che portare il velo in pubblico non sia vietato è qualcosa che può “turbare l’ordine pubblico” molto più del tanga, a causa della condanna che suscita questo strumento per l’oppressione delle donne. Non è fuori luogo pensare che tale divieto rappresenti una certa islamizzazione della mentalità francese, la sottomissione più o meno conscia ai dettami dell’islam. O quantomeno che questo sia il risultato dell’insidiosa pressione musulmana sulla mentalità della gente: le stesse persone che sono insorte contro l’inaugurazione di un sagrato dedicato a Giovanni Paolo II a Parigi non fiatano quando si costruiscono le moschee. L’islam sta cercando di obbligare l’Europa ad adeguarsi alla sua visione dell’uomo. Come già accadde con il comunismo, l’occidente è ora sotto sorveglianza ideologica. L’islam si presenta, esattamente come il defunto comunismo, come alternativa al mondo occidentale. E come il comunismo di altri tempi, l’islam, per conquistare gli animi, gioca su fattori emotivi. Ostenta una legittimità che turba la coscienza occidentale, attenta al prossimo: il fatto di porsi come la voce dei poveri di tutto il mondo. Ieri la voce dei poveri proveniva da Mosca; oggi viene dalla Mecca. Oggi degli intellettuali si fanno portatori dello sguardo del Corano, come ieri avevano fatto con lo sguardo di Mosca. Ora la scomunica è per l’islamofobia, come lo era stata in passato per l’anticomunismo.
Nell’apertura agli altri, che è propria dell’occidente, si manifesta una secolarizzazione del cristianesimo che può essere riassunta in questi termini: l’altro deve sempre venire prima di me. L’occidentale, erede del cristianesimo, è colui che mette a nudo la propria anima, assumendosi il rischio di passare
per debole. Come il defunto comunismo, l’islam considera la generosità, l’apertura
mentale, la tolleranza, la dolcezza, la libertà delle donne e dei costumi e i valori democratici come segni di decadenza. Sono debolezze che sfrutta volutamente grazie a degli “utili idioti”, buone coscienze imbevute di buoni sentimenti, per imporre l’ordine coranico nel mondo occidentale. Il Corano è un libro di una violenza inaudita. Maxime Rodinson sostiene, nell’Encyclopedia Universalis, alcune verità importanti che in Francia sono considerate tabù. Infatti, da una parte, “Maometto rivelò a Medina delle insospettate qualità di dirigente politico e capo militare (…) Ricorse alla guerra privata, istituzione comune in Arabia (…) Maometto inviò subito manipoli di suoi sostenitori ad attaccare le carovane della Mecca, punendo così i suoi connazionali increduli e, al contempo, ottenendo un ricco bottino”.
Dall’altra, “Maometto approfittò di questo successo per eliminare da Medina, facendola massacrare, l’ultima tribù ebrea ancora esistente, quella dei Qurayza, con l’accusa di comportamento sospetto”. Poi, “dopo la morte di Khadidja, sposò una vedova, brava donna di casa di nome Sawda, e anche la piccola Aisha, che aveva appena dieci anni. Le sue tendenze erotiche, a lungo represse, lo avrebbero portato a contrarre contemporaneamente una decina di matrimoni”. C’è un’esaltazione della violenza, perché il Corano mostra Maometto sotto questa luce: guerrafondaio senza pietà, predatore, massacratore di ebrei e poligamo. Ovviamente anche la chiesa cattolica ha le sue colpe. La sua storia è costellata di pagine nere, delle quali ha fatto ammenda: l’inquisizione, la caccia alle streghe, l’esecuzione dei filosofi Bruno e Vanini, la condanna degli epicurei, quella del cavaliere de La Barre, accusato di empietà in pieno XVIII secolo, non depongono a suo favore. Però c’è una differenza fondamentale tra il cristianesimo e l’islam: è sempre possibile tornare ai valori evangelici, alla dolce personalità di Gesù Cristo, riscattandosi
dagli errori della chiesa. Nessun errore della chiesa è stato ispirato dal Vangelo. Gesù è per la non violenza, e il ritorno al Cristo rappresenta la salvezza nei confronti di certi eccessi dell’istituzione ecclesiale. Il ricorso a Maometto, invece, rafforza l’odio e la violenza. Gesù è il maestro dell’amore, Maometto, il maestro dell’odio. La lapidazione di Satana che si ripete ogni anno alla Mecca non è solo un fenomeno superstizioso: non si riduce infatti allo spettacolo di una folla isterica che flirta con la barbarie, ma ha una portata antropologica.
Si tratta invero di un rito che ogni musulmano è invitato ad accettare, radicando la
violenza come dovere sacro nel cuore del credente.
Questa lapidazione, che ogni anno provoca la morte di fedeli calpestati dalla folla (a volte anche centinaia), è un rituale che ingloba la violenza arcaica.
Anziché eliminare questa violenza arcaica neutralizzandola, sulla scia dell’ebraismo
e del cristianesimo (l’ebraismo inizia con il rifiuto del sacrificio umano, che è l’ingresso nella civiltà, mentre il cristianesimo trasformerà il sacrificio in eucarestia), l’islam le crea un bel nido per crescere al caldo.
Mentre l’ebraismo e il cristianesimo sono religioni i cui riti sono rivolti contro la violenza e la delegittimano, l’islam è una religione che esalta la violenza e l’odio, sia nel suo testo sacro che in alcuni riti comuni. Odio e violenza pervadono il testo sul quale si formano tutti i musulmani: il Corano. Come ai tempi della Guerra fredda, la violenza e l’intimidazione vengono utilizzate al servizio di un’ideologia che si vuole egemone: l’islam, che mira a mettere la sua cappa di piombo sul mondo intero. Benedetto XVI sta soffrendo la crudeltà di tale esperienza. Come in altri tempi, è necessario dire a chiare lettere che l’occidente è “il mondo libero” nei
confronti di quello musulmano, e, come in quei tempi, gli avversari di questo “mondo libero”, funzionari zelanti del Corano, pullulano al suo interno.
Robert Redeker
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