Sunday, December 10, 2006

Sul commercio pseudo equo e pseudo solidale

Era ora che uscisse un articolo su questo...


Il cittadino socialmente responsabile
che mangia biologico, compra equo e solidale
e si rifornisce al negozio all’angolo
danneggia se stesso, il prossimo e l’ambiente.
Lo sostiene l’ultimo numero dell’Economist
che dedica la copertina alla questione
della crescente disponibilità dei
consumatori a pagare un premio sui beni
alimentari in cambio della rassicurazione
che, così facendo, stanno contribuendo alla
salvezza del mondo.
Il primo dei fenomeni preso in esame è
l’agricoltura biologica, un business da
trenta miliardi di dollari. Essendo meno
produttiva rispetto a quella convenzionale,
a parità di raccolto essa richiede un
uso più estensivo del suolo. Tra il 1950 e il
2000, la produzione globale è triplicata,
ma l’estensione della terra coltivata è cresciuta
solo del 10 per cento: senza l’aiuto
della chimica, anch’essa avrebbe dovuto
triplicare. Il secondo caso è quello del
commercio equo e solidale, il cui giro d’affari
è salito nel 2005 del 37 per cento, raggiungendo
1,4 miliardi di dollari. I consumatori
pagano un prezzo superiore a quello
di mercato per aiutare gli agricoltori
dei paesi in via di sviluppo. Quattro sono
le obiezioni dell’Economist: in primo luogo,
l’aumento dei prezzi di beni come il
caffè ne incoraggia la coltivazione, contribuendo
così ad abbassare ulteriormente i
prezzi di mercato e disincentivando la diversificazione.
Quindi, per aiutare alcuni
agricoltori, si fa del male a tutti gli altri.
Inoltre, la certificazione equa e solidale
viene di norma concessa sulla base di pregiudizi
politici, e in particolare tende a favorire
le cooperative, escludendo le imprese
familiari. Terzo, l’esistenza di un
prezzo minimo allenta la tensione verso il
miglioramento delle pratiche agricole. Infine,
solo il 10 per cento della rendita equa
e solidale va ai presunti beneficiari: il resto
rimane a distributori e rivenditori.
L’ultimo esempio è quello dei cibi prodotti
localmente (spesso non biologici, peraltro),
che potrebbe avere un impatto ambientale
negativo. Alla riduzione delle distanze
corrisponderebbe un aumento dei
viaggi e dei volumi, e dunque delle emissioni.
Anche i consumatori, i cui movimenti
sarebbero circa la metà dei chilometri
percorsi dal cibo lungo l’intera filiera, andrebbero
da un negozio all’altro rinunciando
all’opportunità di acquistare tutto
nello stesso supermercato. La conclusione
dell’Economist è che i grandi problemi,
dall’inquinamento alle disparità sociali,
non si possono risolvere semplicemente
mutando il modo di far shopping. “I veri
cambiamenti – dice il periodico britannico
– richiedono decisioni dei governi, come
una carbon tax globale; la riforma del
commercio internazionale; e l’abolizione
delle tariffe e dei sussidi all’agricoltura,
soprattutto la mostruosa politica agricola
comune (Pac) europea”. In pratica, l’Economist
offre due suggerimenti contraddittori:
da un lato chiede meno stato, dall’altro
più stato.
Sul fronte della liberalizzazione, è indubbio
che solo l’apertura dei mercati può
aiutare il mondo in via di sviluppo a risollevarsi.
La stessa Pac – sussidiando gli
agricoltori europei, fermando alla frontiera
le merci straniere, e distribuendo sottocosto
le produzioni in eccesso nei paesi
concorrenti – è un importante vettore di
depressione dei prezzi sui mercati globali,
pur mantenendoli artificialmente alti
nell’isola europea. Il risultato è disastroso:
si calcola che una maggiore libertà di
scambio potrebbe far crescere del 5 per
cento il pil africano. In base alla stessa logica,
però, bisognerebbe essere scettici
verso l’introduzione di nuove tasse sulle
emissioni di gas serra: l’esperienza, anche
in relazione alla domanda di terreni agricoli,
mostra che il settore privato e il mercato
libero sono assai più efficienti e innovativi
dell’interventismo pubblico. Quindi,
un incremento delle imposte finirebbe
per sottrarre risorse alle imprese e, in ultima
analisi, limitarne la capacità di investire
in ricerca e sviluppo. L’eccesso di regolamentazione,
più che un toccasana, è
fonte di guai.
Sebbene la terapia proposta dall’Economist
sia discutibile, la diagnosi è corretta:
quelle pratiche commerciali che vengono
brandite come moralmente superiori hanno
in realtà conseguenze inintenzionali assai
fastidiose. Seguirle è più snobismo politico
e vezzo da ricchi che gesto concreto
a favore dei poveri. Non necessariamente
chi più spende meno spende: anzi, in questo
caso potrebbe appartenere alla quarta
tipologia umana di Carlo Maria Cipolla,
quella di chi causa un danno agli altri subendo
egli stesso una perdita.

Thursday, December 07, 2006

E bravo Sarkozy....

Dieci leggi contro la criminalità e due sull’immigrazione
approvate in meno di quattro anni e mezzo,
e Nicolas Sarkozy non è ancora all’Eliseo. La sinistra
e i benpensanti lo accusano di “valanga” (il Monde)
e “inflazione legislativa” (Libération). Ma, grazie al ministro
dell’Interno, i francesi sono più sicuri,
cala l’immigrazione subita (i ricongiungimenti familiari)
e cresce quella scelta (i migranti che lavorano),
le domande di asilo contraffatte sono crollate e le
espulsioni raddoppiate. In Francia c’è chi parla e chi fa.
Se Ségolène Royal parla delle “scuole per i genitori”
dei giovani malviventi, Sarko le ha già fatte,
istituendo i corsi di “responsabilità familiare”.
E’ una delle novità del progetto di legge sulla
delinquenza adottato martedì dall’Assemblea nazionale.
I sindaci avranno più poteri sui minori, le
sanzioni potranno essere applicate dall’età di
dieci anni, i tredicenni rischiano la detenzione
provvisoria, i quasi diciottenni avranno meno riduzioni di pena e
i poliziotti saranno più protetti.
Lunedì Sarko tornerà alla carica sull’immigrazione,
il grande tema della sua campagna
presidenziale, perché le categorie protette
dagli alibi del politically correct
– predicatori d’odio, clandestini, “feccia” delle banlieue
– non sono risparmiate dalla “rottura”.
Ufficializzando la candidatura, Sarko ha avuto il coraggio
di definirsi “liberale” e la maggioranza dei francesi lo ritiene il più
credibile per una politica economica efficace.
Ma, nella Francia della conservazione, Sarko ha il difetto elettorale
della risolutezza e della verità.
Directory of General Blogs BlogRankings.com